Odor di muschio e bacche selvatiche innevate si dissolveranno nel vento per dar vita ad un’esplosione di fragranze sensoriali primaverili. Lo sentite anche voi l’odor di mimose che avvolgono la facciata di una nuova stagione?
E’ la festa del passaggio, invisibile, liminale, percepibile ma impalpabile che si celebra tra candele e rituali antichi.
La fiamma ambrata del tempo si sfarina come fossero lapilli di curcuma e cenere di zenzero su montagne di fuoco per lasciare respiro a narcisi e primule ancora in arborescenza. Si consacra il mese dell’amore, lo scenario circostante si imbeve di passione; passione che trasuda dalle pareti delle vette innevate che si sbriciolano in cuori selvatici e selvaggi.
In base alla ruota dell’anno, la prima festa che incontriamo, che cade tra il 1 e 2 Febbraio è la candelora, celebrata come “Imbolc” presso i celti.
Per il cristianesimo tale giorno è la ricorrenza che prevede la benedizione di ceri e candele nelle chiese, un rito che simboleggia la luce e l’uscita dalle tenebre, ovvero dall’inverno, mentre il termine “Imbolc” in irlandese significa “in grembo”, in riferimento alla gravidanza delle pecore; si officiava l’abbondanza di Madre Terra, la fertilità e l’opulenza di una stagione che tornava a dare “frutti “ e “ prodotti” quali latte, burro, ricotte per fare crescere ed allevare nuovi figli.
Ricordo la filastrocca che declamava mia nonna quando ero bambina:
Da la Madona Candeòra
de l’inverno semo fora;
ma se xe piova e vento,
de l’inverno semo drento.»
Riti di passaggio, rituali propiziatori, simboli, miti e leggende; filastrocche, poesie e detti popolari legano e connettono generazioni passate e future ad un fil-rouge prezioso. Un filamento sottile impercettibile, una fibra tessile invisibile, naturale, pura e magica che fa da trama ad una narrazione che si perpetua nel tempo.
Siamo filatrici di intenti che uniscono la voce dei popoli antichi e moderni, siamo cellule che si dividono per moltiplicarsi in piccolissimi frammenti di Gea ed Urano che impediscono la caduta nel Caos.
“Restare” connessi per non cadere nell’oblio è un atto potentissimo che ci permette di manifestarci come parte integrante di una grande visione.
Ante litteram i nostri predecessori erano molto attenti ai mutamenti, trasformazioni stagionali, sia in risposta ad un istinto alla sopravvivenza sia in risposta ad una naturale congiunzione con la natura stessa.
In tempi antichi questo era un periodo dell’anno molto difficoltoso perché le provviste accumulate durante l’inverno iniziavano a scarseggiare per cui i segni “dal cielo” che preannunciavano l’arrivo della stagione mite e la rinascita di piante, germogli e frutta erano accolti con uno stato d’animo celebrativo e laudativo.
Astronomicamente ci troviamo a metà strada tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di Primavera.
L’ambiente circostante sta ancora attraversando la fase del letargo, del pisolino invernale, ma, mentre sulle montagne svetta ancora la neve, nei campi si stanno già destando boccioli di primavera tra cui i bucaneve.
Esistevano in antichità cerimoniali e riti per accogliere questo ritrovato tempo della fioritura; Il giorno di Imbolc ci si tuffava nelle acque gelate per scacciare il gelo e incoraggiare l’arrivo della primavera e del suo tepore. Le donne avevano anche la tradizione di fare un bagno in acqua mischiata a latte fresco, simbolo di fecondità e produttività.
Durante la notte tra il 1 e 2 Febbraio celebriamo anche noi la festa della luce, della fiamma, del risveglio della natura, della luminosità accendendo una candela bianca, simbolo di nuova energia e ripuliamo le nostre case da energie stagnanti e poco virtuose lasciando entrare aria e luce inedita.
Accompagniamo piano piano la Dea D’Inverno alla porta di uscita per ospitare la Regina di Primavera.