Kàrman: la dimensione dell’azione

Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono:
«Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?»

Giovanni 9, 1-2

Una parola che è diventata diffusa anche nel nostro linguaggio e che nominandola in un discorso ormai chiunque ne coglie un (presunto) significato, deriva dal verbo Sanscrito Kri + man (Kri: fare), Karma.

Nel linguaggio comune, di questo “karma” se ne parla quasi come se fosse una condanna o punizione (da parte di chissà chi), e in una accezione prettamente “negativa”.
Vedremo che non è proprio così, e anzi, se proprio volessimo dare una polarità, sarebbe in ogni caso “positivo”.

Abbiamo iniziato a scoprirlo nell’ articolo precedente : la nostra dimensione, secondo la filosofia Yoga, viene considerata la dimensione dell’azione, kàrman, così intesa non soltanto sul piano pratico e fisico, ma anche nel non-materiale, nel mentale. (“azione” sarà utilizzato per intendere proprio questo, sia il livello materiale che non-materiale).

Questo è ciò che lega la nostra dimensione alla Legge di Causa ed Effetto: azione-reazione, così come nella fisica “a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”, lo stesso troviamo nel campo mentale nel quale l’azione va a generare una “energia” che ci verrà “restituita”, con effetto immediato o nel tempo.

L’energia non restituita, vista come azioni accumulate, forma un potenziale, definito Samskara, e, nel corso della nostra vita, continuamente liberiamo dei Samskara e nuovi ne andiamo ad accumulare. Per questo potremmo dire che ogni “manifestazione del karma” è in verità un fatto positivo in quanto ci alleggerisce: va a liberare il nostro bagaglio energetico, e ogni volta che eliminiamo è positivo.

Conoscere il princìpio universale del Kàrma non è sentirsi prigionieri, indottrinati o schiavi di regole imposte, al contrario è entrare in una forma mentis di libertà: qualcosa che è alla portata di tutti è la capacità di compiere scelte e decisioni in piena coscienza. Sui frutti dell’azione non possiamo avere controllo, ma possiamo benissimo avere controllo sulle nostre azioni! Ecco il motivo per cui ognuno di noi crea il proprio karma (non destino, sono due termini diversi) e la condizione personale presente è un risultato di scelte compiute in passato, anche se inconsapevoli.

Focalizzarsi sul ricordare il karma o tentare di conoscerlo non è una attività funzionale, non aiuta nello sviluppo spirituale o addirittura potrebbe diventare un ostacolo facendo perdere energia e tempo nel processo di “capire”, invece di impegnarsi nel proseguire il cammino del proprio sviluppo spirituale.

Una volta compresa la dinamica, la nostra saggezza consiste nel non accumulare nuovi Samskara e questo è possibile farlo accadere: in ogni istante abbiamo la capacità di trasformare il processo e spostare dal regno dell’inconscio alla consapevolezza i nostri percorsi da ora in avanti.

La pratica sul tappetino ci mostra una rappresentazione di questo funzionamento universale: seguendo un flusso di Asana, passiamo da una posizione all’altra con la consapevolezza che a ogni azione segue una reazione, perfino a livello muscolare possiamo sentirlo.

Inoltre, se a fine pratica abbiamo dolore, significa che abbiamo permesso all’ego di entrare, all’impazienza, alla competizione o alla distrazione, non siamo stati attenti alle nostre scelte, non abbiamo prestato ascolto ai messaggi del nostro corpo.

L’insegnamento sul tappetino si estende così anche alla vita: sia sul tappetino che nella quotidianità fermarsi nel presente, assaporandone la massima intensità, ci rende consapevoli sulle conseguenze karmiche che porteranno le nostre scelte. In questo modo l’attimo successivo sarà libero e immune da conseguenze.

In conclusione, abbiamo delle indicazioni importanti per scegliere le nostre azioni:

– meditare per espandere la mente e diluire il carico karmico (come se pagassimo a rate un acquisto);

– seguire i principi base del Raja Yoga, Yama e Nyama;

– interrogandoci con domande introspettive: quali conseguenze avrà questo mio movimento? questa scelta porterà felicità a me e a tutti gli altri coinvolti?

– ascoltare il cuore come nostra guida, sentire l’eco che ne deriva a livello fisico: se positivo procedere, se si percepisce incertezza o malessere, concedersi una pausa per riflettere sulle ripercussioni. Interrogare il nostro corpo ci garantisce di agire con sostegno in direzione della felicità.

Il modo migliore per prevedere il futuro è crearlo, e per crearlo, bisogna essere consapevoli del momento presente, in ogni azione: in ogni scelta e in ogni pensiero.

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