Avete mai sperimentato la serendipity? Ossia il fenomeno in base al quale accadono felici scoperte, mentre si è impegnati a cercare qualcos’altro?
Un po’ quello che successe a Cristoforo Colombo quando intraprese la rotta verso le Indie e davanti ai suoi occhi si aprì la visione dell’America, conquista che ridisegnò l’intera compagine della storia.
Le fate sono avvezze alla serendipità, poiché svolazzando da un luogo all’altro del creato, abbracciano sovente nuovi panorami e spalancano le ali alla bellezza e meraviglia di inediti e suggestivi territori.
Fu proprio quando le fate decisero di volare a Castel di Tora, un bellissimo borgo medievale del Lazio che si specchia nel lago di Turano, che giunsero per caso, sbagliando tragitto, a Rocca Sinibalda, uno dei Castelli più misteriosi, affascinanti e suggestivi d’Italia.
Camminare e percorrere le vie ed i meandri di quel castello fu come attraversare le segrete stanze della loro anima; tra feritoie, scale elicoidali, mura merlate di camminamento, bastioni ed arazzi incontrarono il loro Virgilio interiore che accese la fiaccola della consapevolezza di un metaviaggio.
Il maniero si estende per circa 3800 mq tra spalti altissimi, sale nobiliari e militari e giardini pensili e, nonostante risalga all’anno mille, è denominato “il Castello della metamorfosi” a causa dei suoi innumerevoli saccheggiamenti, cambiamenti e restauri.
Per le fate le fortezze sono l’allegoria della nostra interiorità, continuamente esposta ai venti.
Infatti la rocca, proprio come il nostro spirito, abbraccia acque profonde, quelle delle emozioni, si erge verso il cielo, ha strettissimi ed invalicabili sotterranei di sacralità ed inespugnabili torrioni di virtuosismo emozionale.
Entrare nelle zone cavernose dell’ala nord fu come valicare la “natural burella” dantesca per poi riaffiorare in superficie a “rimirar le stelle”. Dopo le tenebre torna a splendere sempre la luce di nuova speranza e rivelazione.
Ma la magia e dono dell’universo non si esaurì nella semplice “passeggiata fatata” nei vicoli e stanze castellane. La sala consiliare ospitava una mostra artistica dedicata allo sciamanesimo e “stravolti”, maschere provenienti da ogni zona del pianeta.
A dare il benvenuto alle ragazze alate fu l’anima della donna selvaggia, un totem giunonico di una fugura femminile dalle mammelle calate con una bocca prosperosa e piedi giganti quasi a volerli conficcare dentro le radici di madre natura e sulla sommità del suo capo un uomo che sosteneva le tavole delle dodici leggi universali.
Il sacro maschile e femminile atavico sembravano spalancare le loro braccia ai visitatori accompagnandoli silenziosamente nel loro percorso iniziatico e teofanico.
Un viaggio nel viaggio, un incontro nell’incontro, una scatola cinese di piacere e stupore fino a farci conoscere e riconoscere Deucalione e Pirra, due anziani coniugi, secondo la mitologia greca, che non potendo avere figli avevano chiesto al padre celeste una possibilità di procreazione. All’udir della loro disperazione Zeus li invitò a gettare dietro di se le ossa di madre terra, ossia sassi e rocce, affinché generare nuove creature maschili e femminili a seconda se fossero caduti dietro l’uno o l’altra.
Mito, simbologia, allegorie, leggende, misteri fino a sentire quasi la voce della dama bianca, la vergine la cui energia aleggia ancora nel castello, si snodarono lungo la cresta ed il mantello delle loro emozioni e percezioni.
Sul baluardo più alto incontrarono la coda dello scorpione, perché l’intera fortezza vista dall’alto si dispiega come una figura zoomorfa rappresentando proprio questo aracnide.
Simbolo di protezione dai nemici e per gli antichi egizi rappresentazione di vita oltre la morte, emblema di trasformazione ed archetipo di rinascita, sembrava pungolarle con le sue chele.
Le fate lasciarono il borgo e le sue mura con un dubbio nel grembo: casualità o connessione tra la forma ed destino del castello?
La loro filosofia non si configura come la ricerca di risposte razionali ma favorire un’apertura del sublime canale della magia.
Nella culla di olos esiste una potente correlazione tra il simbolismo ancestrale ed il divenire della realtà contingente.
Non esiste separazione tra il tempo e lo spazio, antico e moderno poiché dentro le loro vesti e tasche continuano a resistere e persistere gli stessi simboli, riconosciuti da ogni generazione passata e futura.
“Un buon viaggiatore non ha piani precisi, il suo scopo non è arrivare” Lao Tzu